5x1000

I nemici del cuore: Terapia antipertensiva

L'interesse nei riguardi dell'ipertensione arteriosa deriva dal fatto che questa condizione morbosa (identificata da valori di pressione casuale o "clinica" maggiori di 140/90 mmHg) investe almeno il 20% della popolazione generale, con punte superiori al 60% nei soggetti ultra settantenni.

Oggi, alla luce di numerosi studi epidemiologici - che valutano l'incidenza di malattie cardiovascolari in relazione a determinati fattori di rischio - e di numerosi studi di intervento - che verificano il grado di protezione esercitato dal trattamento antiipertensivo - possiamo trarre importanti conclusioni cliniche:

1) la pressione alta predispone ad un maggior danno sulle pareti dei vasi arteriosi ed ad un processo di accelerata malattia aterosclerotica a livello di importanti organi "bersaglio" (cuore, rene, cervello, retina, arterie di grosso calibro);

2) il danno d'organo è amplificato in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare quali fumo, predisposizione ereditaria, dislipidemie, diabete, obesità e iperinsulinismo;

3) la terapia antiipertensiva riduce significativamente il rischio di malattia e di mortalità cardiovascolare sia nelle forme gravi che in quelle lievi e moderate (con pressione diastolica compresa fra 90 e 110 mmHg e sistolica tra 145 e 180 mmHg).

L'efficacia protettiva del trattamento risulta maggiore a carico di alcuni distretti (come quello cerebrale) piuttosto che a livello cardiaco e renale ma, in ogni caso, è bene trattare tutti gli ipertesi, anche quelli meno gravi (che costituiscono circa il 70-80% del totale).

I nostri dati si basano sui risultati di studi di durata non superiore ad alcuni anni. In tale breve periodo i vantaggi del trattamento possono esplicarsi soprattutto a carico di quelle patologie nelle quali la "pressione alta" ha un ruolo scatenante diretto, come ad esempio l'ictus cerebrale emorragico.

Al contrario i benefici ottenibili nei confronti di altre complicanze (come quelle coronariche) è più probabile che si rivelino compiutamente solo nel lungo periodo in quanto, in tali situazioni morbose, operano meccanismi patogeni dipendenti in massima parte dall'entità e diffusione di lesioni aterosclerotiche piuttosto che dall'ipertensione arteriosa. Queste alterazioni ateromatose sono il substrato della malattia della placca, con conseguente trombosi coronarica, infarto miocardico, angina instabile e morte improvvisa.

Abbiamo, quindi, raggiunto l'evidenza che la terapia antiipertensiva è in grado di prevenire talune importanti complicanze cardiovascolari. Malgrado questo, sono ancora troppi gli ipertesi nei quali l'effetto ipotensivo è insufficiente.
Sotto il profilo clinico è necessario identificare correttamente i pazienti realmente affetti da ipertensione evitando inutili e costose situazioni di "over treatment".

Le raccomandazioni dell'O.M.S./ISH sottolineano nei casi lievi di ipertensione di sottoporre il paziente ad un controllo pressorio ripetuto nel corso di alcuni mesi, adottando misure di terapia igenico-dietetica (riduzione del peso corporeo in eccesso, ridizione del sale nella dieta, abolizione del fumo, pratica di esercizio fisico di tipo aerobico). E' dimostrato che in molti di questi pazienti l'adozione di queste misure condurrà i valori pressori entro un ambito ritenuto "normale": sotto i 140/90 mmHg per la pressione clinica e sotto i 130/80 mmHg per quella monitorata nelle 24 ore o rilevata a domicilio dallo stesso paziente o da un suo familiare.

Nei casi in cui l'osservazione clinica prolungata dimostri una persistenza dell'ipertensione, specie se coesistono altri fattori di rischio cardiovascolare, sarà opportuno associare anche il trattamento farmacologico. Questo andrà scelto partendo da una delle classi di farmaci di 1° livello: diuretici - beta bloccanti - calcio-antagonisti - ace-inibitori - antagonisti dell'angiotensina - alfa-litici selettivi.

Purtroppo non è possibile identificare in anticipo il farmaco più adatto al singolo paziente, essendo di fatto la scelta quasi sempre empirica.

Tuttavia molto si sta facendo per cercare di migliorare questo aspetto, con l'adozione di criteri clinici e fisiopatologici che possano guidare una scelta terapeutica più razionale, in particolare nei casi più severi dove occorre associare più farmaci.

Autore: Michele Lombardo

ARTICOLI