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Gestione cardiologica del paziente con chirurgia extra-cardiaca - Linee guida ESC 2022

La Società Europea di Cardiologia (Esc) ha di recente effettuato nelle sue Linee guida una revisione delle evidenze scientifiche esistenti e dei dati derivati dai trial clinici relativi alla gestione e alla riduzione del rischio cardiovascolare nei pazienti candidati a chirurgia non cardiaca.

 

Si stima che in tutto il mondo più di 300 milioni di persone siano sottoposte ogni anno a un intervento chirurgico importante; quasi l’85% di questi interventi sono procedure non cardiache. I pazienti che vanno incontro a chirurgia non cardiaca sono inoltre più anziani rispetto al resto della popolazione e questo dato aumenterà ulteriormente nel corso degli anni futuri. Lo scopo di queste linee guida è quello di prevenire le complicanze emorragiche correlate alla chirurgia, l'infarto perioperatorio, la trombosi di stent, l'insufficienza cardiaca acuta, le aritmie, l'embolia polmonare, l'ictus ischemico e la morte cardiovascolare.

 

Probabilità di complicanze cardiovascolari

La probabilità di complicanze cardiovascolari dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di chirurgia, dal fatto che sia un intervento elettivo o urgente e dalle caratteristiche del singolo paziente.

 

Il documento classifica innanzitutto la chirurgia non cardiaca su tre livelli di rischio in base alla probabilità di morte per cause cardiovascolari, di infarto del miocardio e di ictus a 30 giorni.

  • Il rischio basso (< 1%) comprende interventi chirurgici come quelli oculistici o alla tiroide;
  • il rischio intermedio (1%–5%) comprende interventi ortopedici o il trapianto di rene;
  • il rischio elevato (> 5%) include ad esempio il trattamento di aneurismi dell’aorta, trapianto di polmone o chirurgia del pancreas o della vescica.

Come già anticipato, la valutazione del rischio dovrebbe comprendere gli aspetti relativi al paziente e quelli relativi alla chirurgia, in modo da poter prendere decisioni individualizzate. A questo proposito, nel documento si legge come sia «importante che i valori e le preferenze dei pazienti rispetto ai benefici e ai rischi della chirurgia siano presi in considerazione e che i pazienti stessi siano coinvolti nelle decisioni».

 

Proprio per questo le Linee guida del 2022 presentano una nuova flow-chart per la stratificazione del rischio totale, i cui determinanti principali sono il tipo di paziente e il rischio legato al tipo di operazione chirurgica che deve essere intrapresa. Oltre che dal tipo di operazione, il rischio della chirurgia dipende anche da durata, setting in cui viene eseguita e tipo di anestesia.

 

Rischio paziente-relato

Per quanto concerne il rischio paziente-relato, in caso di chirurgia in regime di elezione vengono divisi i pazienti in tre macrocategorie:

  • a basso rischio se hanno un’età inferiore a 65 anni in assenza di una malattia cardiovascolare accertata o fattori di rischio cardiovascolari (fumo, ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemia, storia familiare);
  • a rischio intermedio se con età maggiore di 65 anni o con fattori di rischio cardiovascolari;
  • ad alto rischio se con malattia cardiovascolare accertata.

Nelle nuove Linee guida è presente una sezione dedicata alle azioni che dovrebbero essere intraprese dai pazienti prima e dopo l’intervento per ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari. In particolare viene raccomandato a tutti i pazienti di smettere di fumare almeno quattro settimane prima di una chirurgia non cardiaca. Viene inoltre raccomandato un adeguato controllo dei fattori di rischio quali l’ipertensione arteriosa, il diabete e la dislipidemia.

 

Tutti i pazienti prima dell’operazione dovrebbero effettuare degli esami ematochimici comprensivi di emocromo e valutazione della funzionalità renale. In caso di riscontro di anemia, il suo trattamento è raccomandato prima di sottoporsi all’operazione chirurgica.

 

Gestione pre-operatoria

Per quanto concerne la gestione pre-operatoria del paziente, viene affermato che, in caso di rilevazione di un soffio di nuova insorgenza, di segni o sintomi di malattia cardiovascolare, debba essere eseguita un’ecocardiografia transtoracica.

 

Sono stati fatti diversi studi per valutare se iniziare dei trattamenti farmacologici prima di un intervento chirurgico potesse avere dei benefici in termini di riduzione della mortalità cardiovascolare, tuttavia sono stati raggiunti dei risultati dibattuti.

 

Le linee guida raccomandano di non iniziare una terapia con beta-bloccanti prima di una chirurgia al solo scopo di migliorare l’esito di questa. Naturalmente, se un paziente ha già un’indicazione a una terapia cardiologica, la stessa deve essere invece proseguita in prossimità e anche durante e dopo la chirurgia.

 

Rispetto alle precedenti Linee guida, sono state fornite raccomandazioni più specifiche per l’esecuzione di ECG e di biomarkers cardiaci; in particolare, negli interventi chirurgici a rischio intermedio-alto in pazienti con malattia cardiovascolare nota o fattori di rischio viene raccomandata l’esecuzione di un ECG a 12 derivazioni prima dell’intervento e della troponina cardiaca, sia prima che a 24 e 48 ore dall’intervento. La troponina è utile nell’identificazione dell’infarto miocardico perioperatorio, che è legato a una elevata mortalità a 30 giorni dall’intervento. Queste raccomandazioni non valgono invece per i pazienti a rischio basso che vanno incontro a chirurgie a rischio intermedio-basso.

 

Un’altra sessione che è stata ampiamente rivista è quella riguardante la terapia antitrombotica, in particolare sono state poste delle restrizioni sul bridging (=introduzione di “terapie ponte”) con eparina non frazionata o a basso peso molecolare (ovvero la sostituzione della terapia anticoagulante con le punture di eparina in prossimità dell’intervento). Viene infatti raccomandata l’esecuzione del bridging solo in soggetti con protesi valvolari meccaniche o in coloro che vengono ritenuti a elevato rischio trombotico. Per quanto riguarda invece il trattamento con antiaggreganti, in accordo con le linee guida sulle sindromi coronariche acute e croniche, si conferma la necessità di una doppia terapia antiaggregante rispettivamente per sei o dodici mesi prima di una chirurgia elettiva. In caso invece di un intervento tempo-dipendente (per esempio necessità di rimuovere un tumore), si può accorciare il periodo a un minimo di un mese per un’angioplastica elettiva e di tre mesi per una sindrome coronarica acuta.

 

I pazienti con malattia coronarica accertata devono essere sottoposti ad una valutazione cardiologica solo in caso di chirurgia non cardiaca a rischio intermedio o alto. Inoltre uno stress imaging dovrebbe essere considerato solo prima di una chirurgia a elevato rischio in pazienti asintomatici con una scarsa capacità funzionale e una pregressa rivascolarizzazione per via percutanea o chirurgica.

 

Un controllo pre-operatorio con l’esecuzione di un ECG è raccomandato anche nei pazienti con aritmie, che non dovrebbero interrompere il loro abituale farmaco antiaritmico. Per i pazienti con un pacemaker o un defibrillatore che siano a elevato rischio e nei quali ci sia la probabilità di un’interferenza elettromagnetica, è necessario un controllo del dispositivo prima dell'intervento chirurgico, se ciò non è stato eseguito di recente. Può essere inoltre necessario far riprogrammare il dispositivo prima della procedura.

 

In conclusione

Esiste una complessa interazione tra il rischio intrinseco della chirurgia e il rischio correlato al paziente di complicanze peri-operatorie. Per ogni paziente, la corretta quantificazione del rischio chirurgico richiede una stretta collaborazione tra diversi specialisti, tra cui cardiologi, chirurghi, anestesisti e medici di medicina generale.

 



Autore: Dott.ssa Valentina Colombo e Dott.ssa Elena Gualini