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Aritmie ventricolari e prevenzione della morte cardiaca improvvisa - Linee guida ESC 2022

L’aritmia ventricolare è un disturbo del ritmo cardiaco in cui un’attività elettrica patologica impone al muscolo cardiaco di contrarsi in maniera disorganizzata e rapida; quanto più caotica e veloce sarà la contrazione cardiaca, tanto più pericolosa sarà l’aritmia.

 

Alcuni eventi aritmici possono infatti essere così gravi da comportare quello che è noto come arresto cardiaco.

 

L’arresto è un evento in cui il cuore non riesce a generare una contrazione efficace e a pompare il sangue in circolo, causando in un primo momento la perdita di coscienza immediata e in un secondo, se non interrotto precocemente, arriva a condizionare e a causare gravi danni a tutti gli organi fino a comportare la morte del paziente.

 

Le manifestazioni aritmiche potenzialmente fatali si verificano più spesso in un paziente con una patologia cardiaca nota, come per esempio un infarto in corso o pregresso, oppure una cardiopatia strutturale; in altri casi, per fortuna meno frequenti, possono essere la prima manifestazione di una patologia fino a quel momento rimasta silente.

 

Morte cardiaca improvvisa

La morte cardiaca improvvisa si definisce come una morte condizionata da una perdita improvvisa della funzione cardiaca che non riesce più a fornire il sangue e l’ossigeno agli altri organi vitali, primo di tutti il cervello. Nella maggior parte dei casi è per l’appunto un’aritmia ventricolare a causare la morte cardiaca improvvisa.

 

La Società Europea di Cardiologia (Esc) ha pubblicato nell’estate del 2022 le nuove Linee guide che parlano delle aritmie ventricolari, di come riconoscerle, di come trattarle e di come prevederle; le Linee guide si soffermano inoltre sulle patologie che più di tutte possono esporre a eventi aritmici improvvisi, e propongono degli strumenti per limitare la mortalità legata a queste patologie.

 

Defibrillatore impiantabile, cosa è e per chi?

L’arma più preziosa a disposizione dei cardiologi, ormai da molti anni, è il defibrillatore impiantabile: un dispositivo metallico che viene alloggiato sotto pelle e che consente di riconoscere e interrompere l’aritmia ventricolare se giudicata potenzialmente pericolosa. Il defibrillatore eroga una scarica sincronizzata a tutte le cellule cardiache, permettendo loro di riprendere a contrarsi in maniera coordinata ed efficace. L’impianto del defibrillatore è salva vita in caso di un’aritmia letale, è però gravato da alcune possibili complicanze tra cui le più importanti sono l’infezione del device, la rottura del dispositivo, la scarica inappropriata per errato riconoscimento dell’evento aritmico, senza contare il possibile impatto psicologico.

 

Risulta quindi chiara l’importanza di selezionare correttamente i pazienti a cui proporre l’impianto del defibrillatore. In questo senso lo sforzo della Società Europea di Cardiologia è stato importante per aiutare il cardiologo.

 

Pochi dubbi esistono nella scelta di proteggere con defibrillatore i pazienti che hanno già avuto in precedenza un’aritmia ventricolare pericolosa; questi pazienti in cui è stato possibile interrompere l’aritmia con una terapia farmacologica immediata o con la defibrillazione esterna sono i candidati ideali a essere protetti con un dispositivo impiantabile.

 

Molti più complessa è la scelta nei pazienti che si trovano in una condizione di rischio ma che non hanno mai avuto un’aritmia ventricolare: come si fa a mettere il defibrillatore a chi avrà un’aritmia e non metterlo a chi non ne avrà mai una?

 

Ovviamente è impossibile, gli strumenti a disposizione del cardiologo non consentono un’accuratezza del 100% nella selezione, ma le ultime Linee guida hanno dato indicazioni precise per essere il più protettivi possibile ed evitare impianti inutili.

 

Tra i pazienti ad alto rischio risultano quelli con storia di infarto che ha danneggiato largamente il muscolo cardiaco dopo che è rimasto senza ossigeno per diverse ore. Nei pazienti con pregresso infarto, la morte delle cellule del cuore ha generato una cicatrice: più è grande la cicatrice, maggiore sarà il rischio aritmico del paziente. L’estensione della cicatrice può essere quantificata facilmente con l’ecodoppler cardiaco valutando la frazione di eiezione, cioè la quantità di sangue in percentuale che viene buttata fuori dal ventricolo a ogni battito cardiaco. Si considera normale una frazione di eiezione > del 55%. Tanto più un cuore sarà danneggiato, quindi con una cicatrice più grande, tanto minore sarà la sua frazione di eiezione. I pazienti con precedente infarto e severa riduzione della frazione di eiezione sono quelli ad elevato rischio che la Società Europea consiglia quindi di proteggere.

 

Un ragionamento simile si applica anche alle cardiomiopatie primitive, cioè quelle malattie dove il muscolo si ammala non per un evento infartuale acuto; in queste malattie rivestono un ruolo chiave la genetica e i fattori ambientali, anche se non sempre si riesce a individuare la causa con certezza. Anche in questi pazienti la frazione di eiezione è un aspetto cardine: minore sarà la forza contrattile, maggiore sarà l’estensione della malattia e quindi il rischio aritmico. Tra queste malattie si annoverano la cardiomiopatia dilatativa, la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomiopatia aritmogena e tutte le cardiomiopatie infiammatorie. Per ciascuna di esse, oltre alla frazione di eiezione, sono stati proposti altri criteri specifici e complessi che consentono di stratificarne il rischio di aritmie.

 

Strumenti diagnostici

Nello stabilire il pericolo di aritmie, le ultime Linee guida hanno in più passaggi ribadito l’importanza di due strumenti in rapida diffusione che sono la risonanza magnetica cardiaca e la genetica.

 

Tutti gli studi a cui le Linee guida si ispirano hanno evidenziato come l’elevato potere di risoluzione della risonanza consenta una caratterizzazione del tessuto e una stima incontrovertibile della funzione contrattile cardiaca, permettendo ai clinici di avere una visione più che mai dettagliata del cuore nella sua complessità. Questo prezioso strumento consente dunque di evidenziare precocemente i pazienti a rischio, ancora prima che sviluppino una disfunzione contrattile significativa, cioè un calo della frazione di eiezione; in questo modo è possibile giocare di anticipo e proteggerei pazienti prima che possano andare incontro a una aritmia maggiore.

 

L’altro strumento diagnostico importante è l’analisi genetica. Le linee guida hanno recepito i molti input derivanti da numerosi studi che evidenziano come alcune mutazioni genetiche espongano il paziente ad un rischio elevato. I geni sono le “istruzioni” che il DNA fornisce per assemblare proteine e altre molecole; geni anomali daranno origine a proteine mal funzionanti. Alcune di queste complesse molecole sono presenti nel muscolo cardiaco; in moltissimi casi sapere di avere un gene mutato e quindi una proteina cardiaca malfunzionante e potenzialmente causa di pericolose aritmie è un prezioso aiuto nel complesso percorso decisionale.

 

Strumenti terapeutici

Sono sempre di più quindi gli strumenti diagnostici per prevedere l’insorgenza futura di un’aritmia. Le ultime linee guida hanno però anche sottolineato l’importanza di uno strumento terapeutico nel trattamento dei fenomeni aritmici. L’ablazione transcatetere, ovvero l’erogazione di frequenze tramite dei piccoli fili in grado di raggiungere il cuore dai vasi venosi della gamba, consente di isolare elettricamente delle porzioni di cuore instabili dal punto di vista elettrico. La cicatrice di cellule morte dopo un infarto, per esempio, rappresenta un target perfetto per la terapia ablativa, riducendo di molto il rischio di insorgenza di aritmie letali. La stessa metodica si può applicare a tante altre patologie dove è riconoscibile una zona “trigger” degli eventi aritmici ventricolari.

 

In conclusione

Tanta strada rimane senza dubbio ancora da fare per ridurre l’incidenza delle aritmie ventricolari e della morte improvvisa; le ultime linee guida hanno però fornito validi ed innovativi strumenti in questo complesso e delicato percorso.

 



Autore: Dott. Filippo Leidi