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Utilizzo dell’ECMO nello shock cardiogeno secondario ad infarto miocardico acuto: risultati dell’ECLS-SHOCK trial e riflessioni

Giovanni Tavecchia

A cura di Giovanni Tavecchia

S.C. Cardiologia I – Emodinamica

 

 

Lo shock cardiogeno rappresenta una delle complicanze più temibili in pazienti con infarto miocardico acuto ed è gravato da una mortalità del 40-50%. Ad oggi, l’unico provvedimento terapeutico efficace nel migliorare l’outcome di questi pazienti è l’angioplastica primaria, come dimostrato nel 1999 dai risultati dello SHOCK trial [1].

 

Per quanto concerne i supporti meccanici al circolo, nessuno studio è riuscito a dimostrare una riduzione di mortalità derivante dal loro utilizzo. In particolare, nel trial IABP-SHOCK 2, l’uso del contropulsatore aortico non ha determinato una significativa riduzione della mortalità [2]. Riguardo il supporto al circolo con ECMO, le evidenze fino ad ora disponibili erano limitate a studi osservazionali e a trial di piccole dimensioni. Da qui la necessità di condurre un grande trial randomizzato che valutasse l’impatto prognostico del supporto con ECMO nel complesso scenario clinico dello shock cardiogeno associato ad infarto miocardico.

 

Lo scorso agosto, il Prof. H. Thiele ha presentato i risultati dell’ECLS-SHOCK trial al Congresso Europeo di Cardiologia tenutosi ad Amsterdam [3]. In questo studio, 417 pazienti con infarto miocardico complicato da shock cardiogeno sono stati randomizzati a ricevere supporto meccanico con ECMO più trattamento medico abituale (gruppo ECLS) o solo trattamento medico abituale (gruppo di controllo). Le caratteristiche dei gruppi di studio sono risultate ben bilanciate con una età mediana della popolazione di 63 anni e una prevalenza del sesso maschile (80%). Il 77% dei pazienti inclusi nello studio presentava un quadro di arresto cardiocircolatorio (ACC) ed ha necessitato una rianimazione cardiopolmonare (RCP) prolungata prima della randomizzazione (tempo mediano per ottenere il ROSC di 20 minuti). I pazienti inclusi presentavano un quadro di shock “avanzato” con un livello mediano di lattati all’ingresso di 6.9 mmol/L e una classe SCAI E in più del 30% dei pazienti. In merito al gruppo ECLS, nel 52% dei pazienti l’ECMO è stato posizionato dopo la procedura di rivascolarizzazione e le strategie di unloading del ventricolo sinistro sono state utilizzate nel 5.8% dei pazienti. All’interno del gruppo controllo, il 12% dei pazienti ha necessitato impianto di ECMO e il 15% l’utilizzo di altri supporti meccanici (prevalentemente Impella). A 30 giorni, l’outcome primario di mortalità per tutte le cause si è verificato nel 47% dei pazienti nel gruppo ECMO e nel 49% dei pazienti del gruppo controllo (RR 0.98, CI 95% 0.80-1.19, p = 0.81). Per quanto riguarda l’outcome di sicurezza, i sanguinamenti clinicamente rilevanti si sono verificati nel 23% dei pazienti del gruppo ECMO e nel 9% dei pazienti del gruppo controllo (RR 2.44, 95% CI 1.50-3.95), mentre le complicanze vascolari rispettivamente nell’11 e nel 3% dei pazienti (RR 2.86, CI 95% 1.31-6-25). In conclusione, in una popolazione di pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, l’utilizzo dell’ECMO non è stato in grado di ridurre la mortalità per tutte le cause a 30 giorni, comportando un aumento delle complicanze ischemiche ed emorragiche.

 

Se da un lato l’ECLS-SHOCK trial ha il merito di essere il primo grande studio a valutare l’impatto prognostico dell’ECMO, dall’altro è necessario evidenziarne i limiti ed interpretarlo in maniera critica. Innanzitutto, è importante considerare che più del 70% dei pazienti inclusi nel trial ha presentato ACC con RCP prolungata prima della randomizzazione. Questa tipologia di pazienti presenta caratteristiche cliniche e prognostiche completamente differenti rispetto ai pazienti con shock cardiogeno non preceduto da ACC. In secondo luogo, il tasso di crossover non è indifferente con 1 paziente su 4 del gruppo controllo che è andato incontro ad impianto di supporto meccanico al circolo (ECMO o Impella). Infine, soltanto nel 5% dei pazienti del gruppo ECMO sono state utilizzate strategie di unloading. Nonostante i limiti, rimane questo un grande trial in un setting clinico così complesso.

 

Sulla base dei risultati dello studio non appare giustificato l’utilizzo routinario dell’ECMO nel paziente con shock cardiogeno secondario ad infarto miocardico. Tuttavia, come affermato nell’editoriale di Leopold e Taichamn pubblicato sul NEJM, ci sono sicuramente pazienti per i quali l’ECMO è necessario e salvavita, ma i risultati dello studio ECLS-SHOCK non ci dicono quali [4]. Così come per il contropulsatore aortico, in attesa di ulteriori trial, spetta al clinico trattare i pazienti con un approccio più che mai personalizzato individuando la soglia oltre la quale i benefici del supporto meccanico superano i rischi delle possibili complicanze.

 

Bibliografia

[1] Hochman, Judith S., et al. "Early revascularization in acute myocardial infarction complicated by cardiogenic shock." New England Journal of Medicine 341.9 (1999): 625-634.

[2] Thiele, Holger, et al. "Intraaortic balloon support for myocardial infarction with cardiogenic shock." New England journal of medicine 367.14 (2012): 1287-1296.

[3] Thiele, Holger, et al. "Extracorporeal life support in infarct-related cardiogenic shock." New England Journal of Medicine (2023).

[4] Leopold, Jane A., and Darren B. Taichman. "Routine Early ECLS in Infarct-Related Cardiogenic Shock?." New England Journal of Medicine (2023).

 

19/09/2023