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Il rapporto medico-paziente: parlare alla mente e al cuore

Nel secolo scorso Karl Jaspers, noto psicologo e filosofo svizzero-tedesco, sosteneva che l’agire del medico deve poggiare su due pilastri fondamentali. Da un lato la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica, e dall’altro l’ethos (costume, norma di vita) umanitario.

 

Pur datata, questa affermazione è resa quanto mai attuale dall’accelerazione che il progresso scientifico, medico e tecnologico ha registrato nei decenni più recenti: le persone in Occidente non sono mai vissute così a lungo, non sono mai state così sane e l’efficacia della Medicina Ufficiale non è mai stata così diffusa. Lo sviluppo più recente della cardiologia e della cardiochirurgia, ad esempio, ne è un’inequivocabile testimonianza.

 

Da qui, una rinnovata riflessione che investe in via prioritaria, ma non esclusiva, l’ambito della diagnostica: la disponibilità di strumenti sempre più precisi e sofisticati, tali da rendere più rapida e completa la diagnosi di una malattia, non rischia di generare una sorta di ‘distrazione’ da parte di chi cura nei confronti di chi viene curato?

 

 

Sempre da qui, quindi, l’opportunità di riaffermare un concetto imprescindibile per chi esercita l’attività medica: la necessità della visione globale della persona. Che significa trarre il massimo dal sistema di informazioni che dati e rilievi strumentali mettono a disposizione riguardo al malato, senza per questo perdere di vista l’unicità e la soggettività di quest’ultimo.

 

Si tratta, in altre parole, di mettere al centro della scena clinica il medico, con il suo sapere e la sua esperienza, il paziente, con la sua storia clinica e umana, e ancor più la relazione tra i due.

 

Se è vero che la medicina osservativa ha in qualche modo ceduto spazio a nuovi procedimenti di analisi sempre più efficaci, l’ascolto e il dialogo non possono che continuare a essere il filo rosso del rapporto tra medico e paziente: un approccio – che va ben oltre il momento della diagnosi – in linea con la visione ippocratica che considera la persona ammalata nella sua integralità psicofisica e tiene conto del modo che essa ha di concepire, affrontare e vivere la malattia.

 

In questo modo, la malattia e il suo trattamento diventano un incontro tra persone nel quale ciascuno è in grado di arricchire l’altro, a condizione che sia disposto ad ascoltarne la mente e il cuore e a parlare a entrambi.

 

Antonio Pezzano

09/09/2019