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Mininvasività e "fast-track" in cardiochirurgia pediatrica

"Fast-track" è l'ennesimo termine inglese entrato nell'uso comune perché mal traducibile in italiano e sta a significare un "percorso veloce" dei pazienti in ospedale. Si tratta di una concezione più moderna dell'approccio al malato secondo la quale tutti gli operatori sanitari coinvolti collaborano a ridurre al minimo l'impatto invalidante dell'intervento chirurgico con un conseguente recupero più rapido dello stato di benessere ed una dimissione precoce dall'ospedale.

Sono quattro le fasi del ricovero ospedaliero di un paziente cardiochirurgico: la diagnostica, la operatoria, la terapia intensiva postoperatoria e la degenza. Nell'ambito delle cardiopatie congenite abbiamo individuato un gruppo di patologie, più semplici, suscettibili di essere trattate in regime di "fast-track".
Sono candidati ideali i bambini di età superiore ai tre anni con cardiopatie congenite senza scompenso cardiaco congestizio e senza altre malformazioni o patologie associate.

La diagnosi viene posta sulla base della concordanza fra quadro clinico e diagnostica strumentale non invasiva ( Rx torace, elettrocardiogramma, ecocardiogramma). Il ricorso ad esame strumentale invasivo quale il cateterismo cardiaco viene riservato ai rari casi in cui esistano dubbi circa la tipicità della malattia.
L'intervento chirurgico si effettua ricorrendo alle moderne tecniche "mininvasive" che prevedono l'utilizzo di un accesso chirurgico ridotto ( incisione mediana minima, ministernotomia, minitoracotomia con o senza l'ausilio di apparecchi endoscopici), una conduzione normotermica della circolazione extracorporea ed un'anestesia mista o anche solo endovenosa impiegando farmaci a rapida eliminazione.

Per quanto riguarda l'approccio chirurgico abbiamo scelto l'incisione mediana minima (la metà inferiore di quella solitamente utilizzata per una sternotomia mediana classica) perché ci è sembrata quella che meglio consente di utilizzare le tecniche convenzionali di incannulazione cavale ed aortica, di non modificare la conduzione della circolazione extracorporea, di applicare tecniche chirurgiche tradizionali e ben sperimentate ed infine di trasformare l'incisione minima in quella standard in caso di pericolo.

Dopo una breve fase iniziale di apprendimento, in cui i tempi di esecuzione dell'intervento sono stati leggermente superiori alla norma, la standardizzazione della tecnica ci ha permesso di riportare i tempi dell'intervento a valori normali. Non abbiamo mai avuto bisogno di trasformare il miniapproccio in quello tradizionale perché siamo sempre riusciti a portare a termine l'intervento programmato senza incontrare alcuna particolare difficoltà.

Lo svezzamento del paziente dalla ventilazione meccanica assistita e quindi l'estubazione avvengono precocemente (in sala operatoria o entro le prime 2-3 ore dall'arrivo in terapia intensiva) in modo da consentire il ritorno nel reparto di degenza nella stessa giornata. La rapida mobilizzazione del paziente ed una intensa fisioterapia respiratoria ci permettono di rimandare a casa il bambino entro la quarta o quinta giornata postoperatoria.

Probabilmente gli approcci mininvasivi sono il primo passo verso la chirurgia del terzo millennio che sicuramente vedrà sempre più l'uomo e la macchina lavorare insieme per ottenere risultati migliori. E' infatti ovvio che l'estensione dell'impiego di tecniche chirurgiche mininvasive a pazienti con cardiopatie complesse è possibile solo se la tecnologia mette a disposizione del chirurgo macchine "intelligenti" (il robot) che aiutano a vedere meglio e ad eseguire perfettamente le tecniche chirurgiche necessarie.