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Angioplastica coronarica percutanea

Si esegue mediante dilatazione delle stenosi coronariche (restringimenti delle arterie che portano il sangue ossigenato al muscolo cardiaco e che sono costituiti il più delle volte da accumuli di colesterolo, di tessuto cicatriziale e di cellule infiammatorie) ed è una tecnica di rivascolarizzazione introdotta alla fine degli anni settanta nella pratica clinica.

Si posizionano al livello delle lesioni da trattare dei cateteri (dei tubicini costituiti da materiale plastico) che negli ultimi due - tre centimetri portano un palloncino che viene gonfiato ad alta pressione (dalle cinque fino alle venti atmosfere) ed è in grado così di schiacciare e rompere l'accumulo di materiali indesiderati; il flusso coronarico, quindi viene ad essere normalizzato.

I materiali che costituiscono "l'arsenale" a disposizione dei cardiologi sono migliorati in maniera eccezionale, questo ha permesso di affrontare situazioni sempre più complesse. Si è passati infatti da percentuali di successo dell'80% - 85% a percentuali che sfiorano il 100%. Le complicazioni dell'angioplastica, - occlusione del vaso dopo la procedura (che si realizzava dopo poche ore dall'intervento) e la ristenosi (il riformarsi del restringimento a distanza di tre - sei mesi per un'eccessiva cicatrizzazione al livello della zona trattata) - non si erano ancora ridotte fino all'introduzione degli stent coronarici.

Questi nuovi strumenti sono delle piccole endoprotesi di metallo, della lunghezza di 10 - 20 mm, che, una volta espanse possono raggiungere nell'albero coronarico dei diametri che vanno dai tre ai sei millimetri e che sono costituiti da una trama di fili molto sottili che in certi casi può ricordare quella di una calza da donna.

La funzione degli stent è quella di essere un sostegno, un rinforzo della parete del vaso dopo che è stato dilatato con il palloncino in maniera da ridurre il rischio di un suo collasso e ottimizzare le sue dimensioni. Dopo l'impianto essi vengono progressivamente ricoperti da una nuova superficie che li rende in pochi mesi compatibili con l'organismo. I primi stent impiegati erano estremamente rigidi e voluminosi; il loro impianto risultava spesso problematico e le prime esperienze del loro uso, alla fine degli anni '80 erano risultate deludenti. In un numero non piccolo di casi, inoltre, dopo pochi giorni dall'impianto, un trombo (un coagulo) occludeva la protesi. Questa complicanza poteva dar luogo, spesso, ad un infarto miocardico, nonostante questi pazienti fossero pretrattati con alte dosi di farmaci anticoagulanti.

Per alcuni anni l'impiego degli stent è stato molto limitato; essi venivano impiantati solo in caso di un grave rischio di occlusione della coronaria durante o dopo l'angioplastica, quando un infarto perioperatorio era molto probabile. In pochi anni tuttavia, la situazione si è notevolmente modificata.

È l'accuratezza dell'impianto nel far aderire lo stent in maniera regolare a tutta la circonferenza del vaso la principale difesa contro un'occlusione dello stent. Alcuni studi, inoltre, hanno evidenziato che l'uso di queste endoprotesi riduce anche il rischio di una ristenosi dopo angioplastica. La percentuale dei trattati con impianto di stent, in confronto all'angioplastica con il solo palloncino è quindi cresciuta rapidamente ed oggi supera l'80%.
Lo stent ha sicuramente reso più sicuri e facili gli interventi percutanei sulle coronarie, come conseguenza di ciò l'impiego delle angioplastiche nel mondo è lievitato ed oggi esse hanno raggiunto e superato gli interventi di by-pass aortocoronarico.

Grazie agli stent si possono trattare anche pazienti con stenosi coronariche diffuse e restringimenti irregolari ed anche l'angioplastica nell'infarto acuto, la cosidetta angioplastica primaria, risulta essere più sicura.

Cosa ci riserva il futuro?

Una produzione di stent sempre più perfezionati e quindi meglio adattabili anche alle condizioni più difficili del loro impiego.

Lo stent inoltre rappresenta un supporto ideale per l'impiego di farmaci che potranno esercitare un effetto sulla parete del vaso, facilitando la sua incorporazione e riducendo o, addirittura, azzerando i rischi di una nuova malattia nella sede dell'impianto.
Nel Servizio di Emodinamica del Dipartimento De Gasperis l'impiego degli stent è cresciuto notevolmente in questi ultimi anni e l'esperienza degli operatori oggi nel nostro Centro, con tutti i tipi di stent risulta essere al livello dei migliori Laboratori internazionali.

Dall'ottobre del 1998, in particolare, in collaborazione con altre componenti del Dipartimento e soprattutto con la Divisione di Cardiochirurgia del Professor Pellegrini è attivo un nuovo protocollo di rivascolarizzazione del muscolo cardiaco nell'infarto miocardico acuto.

I pazienti con infarti estesi hanno la possibilità di essere sottoposti accanto alla terapia tradizionale ad una riperfusione del vaso ammalato o mediante angioplastica con l'impianto di stent o, nei casi con una maggiore compromissione dell'albero coronarico, ad un intervento di by - pass. Interventi che potevano essere ritenuti improbabili solo dieci anni fa risultano essere possibili oggi grazie all'impiego degli stent coronarici.

Autore: Silvio Klugmann